Mio nonno, Francesco Augusto Cappellano, anch’egli enologo, proseguì la strada tracciata dai suoi avi, lasciando il testimone al figlio Teobaldo, mio padre, sul finire degli anni ’60. Dopo un’infanzia trascorsa in Eritrea, Teobaldo prese il timone dell’azienda modificandola completamente: dimensioni ben più ristrette e massima attenzione alla qualità, secondo direttrici bel precise. Da un lato un'inedita attenzione al territorio, fatta di radicamento ed impegno. Le Langhe di quegli anni, ben lungi dall'attuale riconoscimento, erano terra difficile che Teobaldo si impegnò a promuovere e difendere attraverso un'attiva e instancabile partecipazione al Consorzio del Barolo e Barbaresco e come presidente dell'Enoteca Regionale del Barolo. Al contempo, la recente fama e le difficoltà economiche di chi produceva vino rendevano troppo allettanti le incursioni di un approccio industriale alla viticoltura. Teobaldo fu tra i primi ad affermare la necessità di un ripensamento della produzione, ritrovando l'armonia con le radici del lavoro contadino e assumendo la responsabilità di una tutela ambientale.
Negli ultimi anni della sua vita è stato presidente dell'associazione Vini Veri, in prima linea nella promozione di un approccio naturale alla produzione vinicola, impegnandosi soprattutto nella formazione di una rete consapevole tra produttori, orientata alla ricerca ed al sostegno reciproco. D'altro canto l'orientamento alla qualità imponeva una attenzione al Barolo Chinato, che negli anni Sessanta stava conoscendo un momento sfortunato a causa del proliferare di nuovi concorrenti di scarsa fattura. Teobaldo continuò caparbiamente a credere nella ricetta scritta a mano da suo zio Giuseppe, ricevuta dal padre Francesco in busta chiusa e sigillata. Con la delicatezza e la perseveranza che gli erano propri, lungamente combatté i pregiudizi che avevano investito il Barolo Chinato.
Dopo anni di lotte riuscì nel suo intento, riportando l’elisir al prestigio che gli spetta di diritto e che ora vanta; custodendo gelosamente, sia nel periodo difficile che in quello fortunato, la ricetta dell’avo e difendendone l’artigianalità.