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Dolcetto
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco
(Erri De Luca)
Un altro grande vitigno del Piemonte, un’altra declinazione del vigneto Gabutti. Una Barbera classica, femminile nella generosità e maschile nel portamento, che trova la sua cifra distintiva in un’acidità spiccata che sorregge morbidezze e frutto e rende vibrante il quadro gustativo fino al lungo finale. E’ un vino che dà l’idea di non essere mai definitivamente risolto, di essere in continuo divenire; come tutti i rossi di grande personalità, si concede tutto il tempo necessario per disvelare potenzialità, carattere e piacevolezze. E’ da sempre nostra cura assecondarlo in questa attitudine, imbottigliandolo e immettendolo in commercio soltanto quando reputiamo sia giunto il momento e nel formato che ci pare più adatto. Va de sé che solo una condotta naturale e la propensione artigianale ci consentono di arrivare al risultato di una Barbera autentica, sempre riconoscibile ma mai uguale a sé stessa, familiare e spiazzante in virtù della sua capacità di evolvere come un racconto, anno dopo anno come fosse una pagina dopo l’altra.
Barolo Chinato
Dar forma a una durata è l’esigenza della bellezza, ma anche quella della memoria
(Milan Kundera)
Era era sul finire dell'800 quando Giuseppe Cappellano, farmacista di Serralunga d’Alba con bottega a Torino, mise a punto la ricetta originale del Barolo Chinato, proponendo come “lenimento medicamentoso e antimalarico” quello che presto sarebbe diventato uno dei classici dell’enologia italiana. Parliamo di ricetta e non di formula perché questo grande vino aromatico da meditazione è figlio di una sapienza artigianale, tramandata nella nostra famiglia di generazione in generazione, che ha molto a che vedere con la conoscenza della terra e con la cultura contadina. Il procedimento per la sua preparazione è noto – al Barolo già invecchiato si aggiungono estratto di china calissaia miscelata con altre erbe aromatiche, zucchero e alcool – mentre l’elenco delle spezie utilizzate per l’aromatizzazione resta segreto. L’equilibrio dei contrasti, la complessità gusto–olfattiva e una persistenza interminabile fanno il fascino di un vino seducente come pochi altri, in grado di reggere un abbinamento quasi impossibile come quello con il cioccolato fondente.
Barolo Piè Franco
Le grandi imprese non si compiono da sobri
(Yamamoto Tsunetomo)
Un’eresia, una sfida all’omologazione, un ritorno alle origini. Era la seconda metà degli anni Ottanta quando Teobaldo Cappellano mise in pratica quella che per molti era una follia, vale a dire la decisione di mettere a dimora nel vigneto Gabutti alcuni filari di nebbiolo Michet a piede franco, il sistema in uso prima della diffusione dell’innesto americano dovuta alla comparsa della filossera. Un’evoluzione all’indietro, per usare le parole dello stesso Teobaldo, dettata dal desiderio di restituire in qualche modo il Barolo a se stesso e a un’idea di purezza; ma anche un omaggio al nonno Giovanni, che visse i suoi ultimi giorni in Africa adoperandosi per capire quanto ci fosse di inevitabile nell’adozione del nuovo sistema e per cercare vitigni resistenti al terribile parassita. Furono in tanti a scommettere sul fallimento di questo tentativo, persuasi che in breve tempo la filossera avrebbe attaccato le viti piantate a piede franco: invece quei filari sono ancora lì, integri e sani, fieri come un inno al coraggio e all’utopia. Il vino che ci regalano è un Barolo “irregolare” e seduttivo, straordinario in quanto a complessità e intensità, che ci restituisce l’inconfondibile imprinting del territorio di Serralunga al netto di pose e affatturazioni.