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Anarchia
Se posso permettermi il lusso del termine, da un punto di vista ideologico sono sicuramente anarchico. Sono uno che pensa di essere abbastanza civile da riuscire a governarsi per conto proprio.
(Fabrizio De André)
In questo spazio vorrei concedermi un ricordo poiché il termine "anarchia" è per me inscindibile dalla figura di mio padre. Sono diventato grande insieme alla cantina e a crescerci, entrambi, è stato un uomo libero e responsabile. Libero di esprimere concetti o elaborare progetti in controtendenza; libero dall’umana vocazione ad aggregarsi al gregge perché più comodo e rassicurante. Responsabile perchè sempre animato da un incrollabile rispetto per gli altri e da una propensione innata a schierarsi della parte più debole. Anarchia e civiltà; libertà e responsabilità. Crescere - per un figlio e per un'azienda - nella comunione degli opposti significa mettere in pratica una filosofia, assumerla a modello oltre la teoria. Mio padre ci ha lasciato in eredità il pensiero di anarchia, una propensione all’indipendenza che ci ha spinto a mettere in discussione (o a ripensare) anche il suo stesso lavoro al fine di evitare le trappole di una diversa ma indesiderabile omologazione. Rimane, indelebile, un approccio alla vita - e alla produzione - che tratteggia ciò che per noi veramente conta: impensabile seguire un qualsivoglia dogma, soprattutto quando si tratta di cavalcare una qualche scia imposta dalla moda. Quello che ci interessa è il senso. Un buon prodotto, espressione reale di quanto il territorio e l'annata determinano, ma con la sapienza necessaria a condurlo verso l'armonia e il piacere. Non ci prestiamo ad altro se non all'etica della terra e dell'uomo, crediamo alla razza umana e alla Natura ma partiamo dal piccolo per pensare in grande. Non cercateci dunque sui palcoscenici, aspettatevi invece di incrociarci in un posto inconsueto, in una situazione inaspettata che ci conceda però di condividere un bicchiere di vino ed un pezzo di strada.
Rivoluzione
Chi non sta da una parte o dall'altra della barricata, è la barricata.
(Vladimir Il'ič Ul'janov)
Molto spesso all'azienda Cappellano è stato associato il concetto di “rivoluzione”, un ossimoro se si pensa alla già trattata fama di “tradizionalisti”. Eppure tradizione e rivoluzione sono due facce della stessa medaglia - il piglio rivoluzionario o se vogliamo “anticonformista” - pare iscritto nei geni dei patriarchi della Cappellano.
Un nonno, Francesco, così testardo da lasciare le Langhe per costruire un attività connessa al vino, però in Africa (più precisamente in Eritrea, allora colonia italiana).
Un padre, Baldo, ritornato in Italia con una famiglia ed il sogno di ricostruire la cantina di famiglia partendo quasi da zero, riacquistando una parcella in uno dei cru - Gabutti - tra i più prestigiosi della Langa, producendo nuovamente Barolo Chinato con la vecchia ricetta, e trasformando in realtà l'antico miraggio del padre: una vigna di nuovo a piede franco.
Folli, sognatori, incoscienti. Visionari, coraggiosi, precursori. Questo e molto altro si è detto di loro, questo - e molto altro - si evince dalle loro vicende, qui solamente tratteggiate. Eppure questi sono tutti tratti che contraddistinguono le personalità che determinano il cambiamento, la rivoluzione. Ci piace pensare che questo piccolo germe di follia che fa intravedere un futuro migliore, un sogno per cui lottare, sia ormai diventato endemico, che permei me così come tutte le splendide anime che hanno consentito alla cantina di andare avanti. Crediamo fortemente che per rendere degna un'esistenza sia necessaria una giusta motivazione, alimentata da un fuoco. Potremmo chiamarla causa, potremmo chiamarla utopia. In ogni caso inseguirla ci rende felici e, speriamo, ci renda parte attiva e costruttiva di questo meraviglioso sistema mondo.
Oggi
Ricevetti, ancora bambino, l’onore ed il compito di proseguire la storia del Barolo Chinato Cappellano, attraverso l’insegnamento della ricetta, della tecnica e delle piccole accortezze. Lasciato libero di approfondire le mie inclinazioni al di là della produzione vinicola, ho trascorso gran parte della giovinezza tra il mortaio e lo studio della chimica. Una volta intrapresa la carriera accademica qualcosa però cambiò di fronte ad un tramonto tra le vigne. Qualcosa non andava e mi resi conto che l'indole e l'appartenenza mi stavano riportando al vino e alla cantina.
"Bisogna essere un po' matti per voler trascorrere la vita a guardare il cielo", mi ripeteva mio padre, alludendo alla preoccupazione relativa alle intemperie che segna la sorte di un contadino... effettivamente però questa frase sottintende giustamente una buona dose di romanticismo. Sono - purtroppo - un romantico come mio padre e - come mio padre - indubbiamente un po' folle. La sua scomparsa è stata una perdita ed un dolore incredibile, per tutti noi e per la cantina. In pochi avrebbero scommesso sul fatto che ci sarebbe stato un futuro. Invece le notti insonni di chi ha perso qualcuno di irrecuperabile sono state la mia, la nostra, risorsa. Siamo rimasti in piedi e abbiamo cambiato tante cose. Abbiamo riportato ordine nel caos creativo di quel genio che era Baldo, abbiamo sistematizzato, ristrutturato, perfezionato. Credo, come lo credeva mio padre, che la discriminante siano il rispetto e la tutela della natura, dell'ambiente. Non scendo a compromessi se si tratta di interventi in vigna o in cantina e mi ritengo fortunato perché ho potuto accostare gli insegnamenti contadini alla conoscenza tecnica e scientifica delle pratiche colturali biologiche. Credo che tutto ciò non rappresenti un limite alla correttezza ed alla qualità organolettica: la mia sfida è condurre la natura, consentirle di esprimersi. Credo inoltre che la differenza la facciano sempre le persone, che siano le relazioni a dover essere coltivate e valorizzate. È un impegno, quello che devo alla mia felicità, alla memoria di mio padre e ai volti che mi sono accanto.
La Cantina Cappellano è ciò che è oggi grazie ai miei avi, a mio padre. Ma anche grazie agli amici produttori che mi sono stati accanto e mi hanno sostenuto quando ho perso mio papà; a mia madre che è sempre stata ed è tuttora un pilastro dell'azienda; a ciascuno dei miei collaboratori che, chi da sempre e chi di recente, credono e amano la filosofia che anima la cantina Cappellano. Ed oggi, mentre ancora con gli stessi strumenti utilizzati dal mio prozio frantumo le droghe, posso dirmi orgoglioso di avere tra le mani la sintesi di un secolo e mezzo di storia della mia famiglia.